Eric Cantona: ritratto di un francese che ha fatto epoca altrove.

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Au revoir!”

Anche in assenza di dati ufficiali a sostegno, ne siamo convinti: quasi impossibile trovare qualcuno, tra coloro che si definiscano innamorati del calcio in tutte le sue sfumature sin dagli anni ’90, la cui memoria non venga scossa da questo minaccioso saluto.
Era così che terminava un famosissimo spot di un altrettanto celebre marchio sportivo, in cui alcune grandi stelle affrontavano con non poche difficoltà un team di demoni alati. Il momento decisivo era affidato ad Eric Cantona: alzato l’iconico colletto, salutava in francese il nemico prima di ditruggerlo con un destro secco.

Sta forse in quel gesto, più che in ogni altra mossa, la perfetta spiegazione di un profilo di calciatore che per molti ha rappresentato l’icona del calcio di quegli anni, e che per primo ha saputo reinventare l’idea dell’atleta “arrogante”, eccentrico e per questo prepotentemente unico. Un’immagine che forse oggi vediamo riflessa, in modo sbiadito, su ben altri profili, anche tecnicamente superiori a quello di Eric, ma incapaci di renderne allo stesso modo la complessità.

Le origini: nessuno è profeta in patria.

Cantona nasce a Marsiglia nel 1966, anno non casuale per chi crede agli dei del calcio.
Proprio in quel periodo a Manchester vinceva George Best, un numero 7 di estro e follia.
Sarà così anche vent’anni dopo con il francese, che non è mai riuscito ad essere profeta in patria.
Il suo è infatti un talento precoce, che lo porta a giocare quasi subito per la quotata squadra della sua città. Le sue intemperanze però lo costringono a vagare in prestito di club in club, finché nel 1991 non decide quasi di abbandonare il calcio. Dopo due mesi di squalifica incassati per una pallonata all’arbitro dirà:

Ho avuto il privilegio di assistere al mio funerale”.

L’approdo in Inghilterra.

Ci ripensa, ma per tornare ad essere protagonista nella terra promessa più improbabile che ci sia per un francese: l’Inghilterra. Finisce al Leeds, dove diventa subito parte integrante della storia del club: vince il titolo del 1992 ed il Charity Shield con una sua tripletta ai danni del Liverpool. L’anno successivo il passaggio al Manchester United, ed il personaggio Cantona mette subito le cose in chiaro. A Sir Alex Ferguson, che domandava “Mi chiedo se tu sia abbastana bravo per giocare qui”, rispose:

Mi chiedo se Manchester sia abbastanza per me”.

Lo sarà. Quattro Premier League, due Coppe di Inghilterra, un totale di ottantadue reti con i Red Devils. Tante cose belle, come lo storico pallonetto al Sunderland celebrato con flemma glaciale.


A tali gesta fanno da contraltare però imperdonabili errori, come quello del 25 gennaio 1995.
Eric viene espulso per reazione sul difensore del Crystal Palace Shaw. Uscendo dal terreno di gioco viene fatalmente provocato da un discusso tifoso di casa, Matthew Simmons, personaggio non propriamente raccomandabile del South London. Un colpo da kung fu lo stende. Cantona sarà squalificato dalla giustizia sportiva con otto mesi di squalifica, condannato da quella ordinaria a 120 ore di lavori sociali. Tornerà per vincere un altro titolo e poi, nel 1997, a quasi trentun anni dirà:

“Ho giocato da professionista per 13 anni, un tempo lungo. Ora ho voglia di fare altre cose
”.

E tra “le altre cose” non c’è solo la carriera di brillante testimonial per il già citato brand di calzature sportive, che proseguirà negli anni successivi al ritiro, fino a vederlo indossare i panni di promotore ideologico del manifesto del bel gioco, paladino di tutti i veri amanti del calcio; si dedicherà infatti anche al cinema, e pure con buoni risultati. Tra tutti spicca il ruolo di produttore ed attore nel film “Il mio amico Eric” di Ken Loach, dove “The King” interpreta sé stesso, ed assume i tratti dell’amico immaginario pronto ad aiutare un postino (tifoso dello United) in crisi.  

Si dedica poi all’arte figurativa, o per meglio dire agli scarabocchi impertinenti: “Mon Carnet” è un libro colmo di bozze e ghirigori provocatori, partoriti proprio dalla sua mano.

Nemmeno la politica ha avuto scampo: ha spesso criticato figure di spicco del panorama francese, ma ha anche provato a farsi portatore di messaggi ideologici e di interesse sociale, talvolta sfociando in iniziative un pizzico qualunquiste, come l’accorato invito (che non ottenne grande successo) al popolo francese a prelevare i propri risparmi dalle banche.

“Cos’è l’identità nazionale? Parlare francese, cantare la Marsigliese, leggere La Lettera di Guy Moquet? Questo è essere stupidi. Per me essere francese significa essere rivoluzionario”.

Il personaggio Eric Cantona.

Questo è stato ed è tuttora Cantona. Non solamente la testa calda di Marsiglia o il calcio a Simmons, e nemmeno soltanto un ottimo attaccante capace di ridare lustro alla maglia numero 7 dello United. Cantona è il racconto di un fenomeno che anticipa ma allo stesso tempo si distingue nettamente dalla figura del divo social che oggi conosciamo. Eric ha saputo far suo un personaggio, non lo si può negare: ma alla base di esso c’è una sostanza concreta, una sensibilità difficilmente reperibile nella stragrande maggioranza dei suoi colleghi.

Il suo citare il “Re Lear” di Shakespeare ai sorteggi di Champions League di Montecarlo, lasciando tutti di stucco: geniale ironia o semplice follia provocatoria? Proprio su questo delicato confine ha sempre vissuto e vive Eric Cantona.

“Noi siamo per gli Dei come le mosche per i monelli. Ci uccidono per il loro spasso. Presto la scienza sarà capace di rallentare l’invecchiamento delle cellule, presto saremo eterni. Soltanto gli incidenti, i crimini e la guerra continueranno ad ucciderci. Sfortunatamente i crimini e le guerre si moltiplicheranno. Ma io amo il calcio. Grazie”