“Senna, aceleramos juntos, o tetra é nosso”.
Quel maledetto maggio che gelò i cuori di un popolo
Ci sono storie la cui grandezza è destinata a riecheggiare nell’eternità.
Il racconto di Ayrton Senna entra nel novero di quelle favole che non si fermano ad una curva: piuttosto toccano le corde dell’emozione, ed arrivano ad unire con più forza popoli ed atleti.
“Corriamo insieme, il titolo è nostro”.
Siamo a Pasadena. È il 17 luglio 1994. La nazionale brasiliana di calcio ha appena battuto l’Italia ai rigori vincendo i mondiali di USA 94. Capitan Dunga e compagni girano per il campo con uno striscione che raccoglie in un solo abbraccio tutte quelle milioni di anime felici per il successo della Selecao, ma ancora stordite dal tragico incidente di Imola, che due mesi prima si è portato via il loro eroe, quel maledetto 1 maggio.
Sta anche in questo il mito di Senna, indimenticato fuoriclasse della Formula 1 che ha saputo guidare la sua icona ben oltre la Formula 1 stessa: al di là di superficiali raffigurazioni oleografiche, ha fatto piangere un popolo che con lo sport ha quasi sempre gioito. E lo ha fatto nel momento in cui la Coppa del mondo tornava in Brasile dopo ben 24 anni di assenza.
Negli anni in cui il calcio non dava al suo popolo eletto quelle soddisfazioni cui era sempre stato abituato, Senna irrompe con la sua figura per dare continuità alle gesta di illustri connazionali del calibro di Fittipaldi e Piquet, ed arrivare poi a sorpassarli.
Nulla da dire obiettare quindi, al fatto che ci troviamo di fronte ad una narrazione unica, diversa persino da quelle che ci piace raccontare solitamente ai nostri appassionati.
Le origini del mito
Del resto, che le imprese siano nel suo dna si capisce presto. Lui, paulista cresciuto in una famiglia tutto sommato agiata, che già a tredici anni vince e domina sul kart. Un talento cristallino il suo, che lo porta a trionfare nei campionati britannici di Formula Ford (1981) e F3 (1983).
A colpire l’attenzione non sono solo gli impressionanti risultati raggiunti dal ragazzo, come il record di dieci vittorie nelle prime dieci gare disputate, o le nove pole position. L’imbarazzante superiorità di uno stile di guida che non teme confronti balza agli occhi degli addetti ai lavori che portano Ayrton in Formula 1: è il quattordicesimo pilota brasialiano che ci riesce.
È la scuderia Toleman che gli offre la prima chance, nel 1984. A fine stagione si piazzerà al nono posto, ma sarà il Gran Premio di Montecarlo a far capire al mondo che è nata una stella: il ventiquattrenne riesce a scalare dalla dodicesima alla seconda posizione, e solo un diluvio torrenziale che interrompe anzitempo la gara gli preclude il primo storico successo in F1.
Il suo talento è ormai evidente: firma con la Lotus dalla stagione seguente, scuderia con cui ottiene due quarti posti ed un terzo nella classifica mondiale.
Poi arriva la McLaren: sei stagioni che consacreranno il mito.
La McLaren tra rivalità storiche e successi
La monoposto bianco-rossa diventa lo strumento prediletto con cui finalmente esprimere al massimo una guida che non concede repliche nemmeno in qualifica (non a caso manterrà il record di pole position, 65, dal 1989 al 2006). Ma come spesso avviene nelle grandi storie di sport che si rispettino, ai successi si accompagnano le grandi sfide: sono questi gli anni in cui comincia il dualismo con Alain Prost, che tra 1988 e 1989 è suo compagno di scuderia. Memorabile è il Gran Premio di Suzuka che decide la sua prima vittoria iridata, quando Ayrton mette in scena una clamorosa rimonta ai danni del francese, che viene sorpassato sul rettilineo dell’arrivo al ventottesimo passaggio. Con la casa britannica Ayrton vincerà tre mondiali (1988, 1990 e 1991) ottenendo due secondi posti, un quarto posto, conquistando trentacinque gare e quarantasei pole.
Il mito si fa leggenda
Il nostro racconto ritorna a quel primo maggio 1994. Ayrton è ora sulla Williams, ed ha sostituito proprio il suo rivale di sempre, che si è appena ritirato da campione del mondo. L’inizio di stagione è stato positivo, con tre pole position. La terza gara si corre ad Imola, per il Gran Premio di San Marino. Il giorno precedente il pilota austriaco Ratzenberger ha perso la vita durante le prove, all’altezza della curva Villeneuve. Nonostante i dubbi dell’ambiente, si decide di far partire ugualmente la corsa. Il resto è storia. Un’altra tragica notizia si sarebbe diffusa su quell’asfalto, quel maledetto weekend. Al giro sette, Ayrton va dritto contro il muretto, proprio all’ingresso della “curva del Tamburello”, una porzione di tracciato destinata a diventare tristemente celebre per aver consegnato alla leggenda presto, troppo presto, colui che era già mito.
Il successivo cinque maggio a San Paolo saranno tre milioni le persone radunate a salutare per l’ultima volta il loro campione.
“O tetra é nosso”.
A molti brasiliani piace pensare che quel giorno a Pasadena, a vincere il loro quarto mondiale non sia stata solo la nazionale carioca.